L'inchiostro, che ha origini antichissime, fu il supporto indispensabile ed insostituibile per la scrittura. I romani lo chiamavano 'Atramentum' e poi i latini 'Encaustum' e 'Melanion'.
Se si sbagliavano le miscele, l'inchiostro poteva cancellarsi, spandere, essere sensibili alla luce, all'umidità, provocare muffe, cambiare colore e provocare anche gravi ed irrimediabili danni di corrosione ai supporti utilizzati (carte, pergamene, ecc?) e questo poteva avvenire subito dopo l'essiccazione oppure in un tempo più o meno lontano, a seconda delle reazioni chimiche indotte.
Nei testi antichi è trattata l'arte di fabbricare inchiostri e le più comuni misture erano l'estratto di campeggio (albero con tronco e corteccia bruno grigio) dal cui legno color rosso scuro si estraeva un colorante rosso e l'estratto a base di carbone vegetale di colorazione nera (da qui il detto nero come l'inchiostro e nero come il carbone).
Altre miscele prevedevano l'utilizzo anche di fuliggine, nerofumo, vari tipi di carbone ed addizionati a gomma arabica, acqua, vino, aceto e perfino urina. Alla fine della lavorazione si otteneva un inchiostro particolarmente stabile nel tempo, che non presentava sostanze dannose per il supporto usato (carte, pergamene, ecc?) e che non scoloriva alla luce. Tuttavia, questi inchiostri detti
Tuttavia, questi inchiostri detti al nerofumo, erano sensibili all'umidità e pertanto, in presenza di umidità, l'inchiostro tendeva ad espandersi e perfino a cancellarsi. Quindi, la preoccupazione di eliminare questa grave minaccia e di consentire la diffusione di testi indelebili, spinse a trovare la soluzione definitiva al problema. Infatti, una piccola aggiunta di solfato ferroso all'inchiostro nerofumo, produceva vari ossidi di ferro che penetravano nelle fibre della carta (o altri supporti), e lasciavano tracce indelebili.
Dopo il 1100, l'inchiostro venne ulteriormente perfezionato e si ottenne l'inchiostro ferro-gallico, ricavato dalle noci di galla, resine ed acqua in soluzione coi sali di ferro. Una sua variante prevedeva la soluzione anche con solfato di ferro e vetriolo cioè acido solforico diluito. Le sue caratteristiche qualitative e di resistenza lo resero di uso comunissimo anche se, purtroppo, essendo uno dei principali responsabili della corrosione, ha spesso comportato la cancellazione di " tratti" scritti o stampati nei documenti storici.
La continua sperimentazione portò a ricavare innumerevoli misture vegetali che venivano sciolte in vino, birra, aceto e miele con aggiunta di gomma arabica. Il loro dosaggio era mantenuto rigorosamente segreto e, specialmente nelle abbazie, i monaci effettuavano accurate sperimentazioni in quanto,eccedendo con i contenuti metallici (solfati) o aumentando l'acidità del composto, in un tempo più o meno breve, si aveva l'irrimediabile e definitiva corrosione della carta o della pergamena, con la conseguente perdita di tutto il lavoro che era stato fatto.
Di miscela in miscela, si affermò sugli altri, l'inchiostro metallogallico o gallotannico detto ' encaustum' (dal greco egkauston = impresso a fuoco, encausto, termine passato poi a definire la tintura rossiccia usata dagli imperatori bizantini per sottoscrivere lettere e decreti) e conosciuto anche dagli Egizi.
Pur essendo conosciuto come dannoso per il materiale librario, questo inchiostro, nato dalla combinazione di solfato ferroso, sostanze tannanti, ossia tannino e acido gallico (sostanze estratte dalle noci di galla, escrescenze che si formano su alcuni tipi di querce), un legante (gomma arabica o miele) e un solvente (acqua, a volte vino o aceto), era stabile alla luce, era indelebile ed anche piuttosto resistente all'umidità anche se oggi vediamo che molti scritti antichi sono divenuti color marrone (non più neri brillanti come in origine) per la trasformazione chimica subita dai composti ferrici (ossidazione).
Furono creati anche inchiostri a colori: infatti le bellissime iniziali tracciate in rosso negli incipit di molti antichi manoscritti devono il loro colore brillante ad un legno di un albero particolare, detto legno del Brasile, scoperto dai Portoghesi nella parte centrale del Sud America ed importato in epoca medievale. Il legno polverizzato veniva lasciato per molti giorni a bagno nell'aceto o nell'urina e poi mescolato con gomma arabica ottenendo così un inchiostro rosso fuoco. Gli inchiostri rossi a base di cinabro (solfuro di mercurio color rosso vermiglio) e di minio (ossido salino di piombo di color rosso), oltre a fissare per sempre lo splendore gotico dei titoli, delle lettere iniziali e degli incipit che fregiano i codici miniati e gli antichi libri degli amanuensi, furono usati anche per la fabbricazione di smalti e di vetri legati a piombo. Un altro tipo di inchiostro rosso era invece fabbricato con cocciniglia macinata con lacca.
Il pigmento di base per gli inchiostri blu era l' indaco e veniva estratto dalle foglie dell' indigofera tinctoria. Solo alla fine del 1600 venne scoperto il colore blu di Prussia, un pigmento di origine minerale che sostituì pian piano l'indaco, fino ad affermarsi completamente dopo il 1800 ed esistente ancora oggi seppur con formule diverse.
Nel XVIII secolo, con l'avvento dei pennini metallici, gli inchiostri divennero più sofisticati e funzionali allo scopo di evitare effetti corrosivi anche sulle penne d'oca e sui pennini stessi e fu così che alcuni industriali produssero inchiostri all'anilina i quali, pur essendo composti da elementi maggiormente tossici, si diffusero largamente a partire dalla metà del 1800 poiché erano di gran lunga meno corrosivi, erano scorrevoli, non spandevano, asciugavano velocemente ed erano assai stabili e non corrosivi nel tempo.
Nei primi del Novecento fu usato anche l'acido fenico, che però corrodeva i pennini d'acciaio e pertanto gli stessi dovevano essere ricoperti con un altro materiale resistente come la placcatura d'oro).
L'inchiostro migliore di tutti fu però quello cinese, la cui composizione risulta alquanto laboriosa: grasso di bue, pesci vari, corna di animali, perle, oro, giada e prodotti della combustione, ossia legno, carbone, resine di pino e olio di sesamo, tutti polverizzati e mescolati molto accuratamente col mortaio.
I bastoncini ottenuti con queste miscele, venivano poi sciolti in acqua di fonte, sulla pietra da inchiostro, fino ad ottenere un impasto molto fine poiché i cinesi scrivevano coi pennelli e non con i pennini.
Dal XVIII secolo vennero modificate le formule, i sistemi di produzione, di stampa e di essiccazione e venne migliorato il controllo dell'elasticità della "vernice" sino ad arrivare alla produzione dei pigmenti e delle resine sintetiche.
Gli ultimi cento anni sono stati fonte di talmente tanti mutamenti che, attualmente, esistono diversi tipi di inchiostro per ogni genere di supporto, per caratteristiche di utilizzo, di destinazione ecc.
Curiosità
Un recente studio condotto sui resti di monaci vissuti prima del Cinquecento e dediti alla ricopiatura dei Testi Sacri e rinvenuti nel cimitero di un'abbazia in Danimarca, attesta che la scrittura avvelenò gli amanuensi in quanto si ritiene che fosse una pratica comune quella di leccare il pennello per la scrittura per renderlo più appuntito.
Secondo questa ricerca, condotta nella Danimarca Meridionale e pubblicata sul Journal of Archaeological Science, questi monaci sarebbero morti a causa dell'esposizione alle elevate quantità di mercurio contenuto in uno degli inchiostri che impiegavano nelle loro minuziose opere di scrittura, il rosso.
Ciò che lega il mercurio al rosso è il cinabro, un minerale costituito principalmente da solfuro di mercurio e che veniva usato in virtù del suo colore, un rosso acceso e molto intenso.
Ancora oggi, gli incunaboli medievali, ovvero i primi libri stampati con caratteri mobili, non vanno mai toccati perché potrebbero rivelarsi pericolosi per la salute anche a distanza di secoli.